Ciclo dei Vizi e delle Virtù di San Ferreolo in Grosso C.se

By ottobre 5, 2015Articoli

In aperta campagna, ai piedi delle grandi Vaude di Rocca e di Nole, sotto la comunità di Grosso Canavese, si erge ancor’oggi uno dei più splendidi ma celati gioielli architettonici del Piemonte, la Chiesa romanica di San Ferreolo. Le pitture murarie al suo interno risultano ancora oggi di notevole pregio ed importanza, grazie all’iniziativa di restauro intrapresa alcuni anni fa dall’allora parroco Don Giovanni Pugnetti, e lasciata all’opera del pittore restauratore Cesare Perfetti di Torino.
Tuttavia, restano molti aspetti storici ed artistici ancora da chiarire, che valgono a spiegare la rarissima dedicazione, concorrendo a più precisamente datare la costruzione di tale chiesa e a darci una più verosimile idea sul committente e sulla scuola alla quale può essere appartenuto l’anonimo autore delle pitture murali.

Mai sino ad ora è pervenuta una documentazione scritta
che stabilisca l’anno in cui ebbe origine la costruzione di tale chiesa,  ma per teoria di deduzione, grazie alla struttura edilizia, gli affreschi e  considerando gli avvenimenti storici collegati al sorgere dell’Abbazia di Fruttuaria, ci spingono a datarla non oltre la prima metà dell’XI secolo.I muri in sassi a spina di pesce, con mattoni di riutilizzo, gli archetti pensili della facciata e nei muri laterali, quelli con specchiature trinarie dell’abside, la copertura a capriate in vista, l’altare in laterizio, come si rileva dalle relazioni di visita pastorale, sono indicativi di una architettura benedettina così come l’Olivero ritenne lo fossero anche le chiese di S. Maria di Spinerano di S. Carlo Canavese e di S. Martino di Liramo di Ciriè.
Secondo il Cavalleri Murat, valutando gli affreschi primitivi ma vetusti, ad ornamento del catino absidale,  sarebbe possibile ricondurre le opere murarie alla scuola di Reichenau.
In un primo momento vien da pensare che si potrebbe condividere il pensiero esposto da Antonio Bellezza-Prinsi col ritenere probabile una prima diversa dedicazione: forse alla Madonna ed a S. Giovanni, in quanto dette figure sono dipinte in posto d’onore, ai lati del Cristo pantocratore dell’abside, cosicché la dedicazione a S. Ferreolo sarebbe stata successiva.La supposizione potrebbe essere avvalorata dal fatto che nella chiesa non esiste una immagine del santo e che dalla relazione di visita pastorale di Mons. Francesco Luserna Rorengo di Rorà, del 27 novembre 1771, tale immagine non risultava dipinta su un muro ma su una tavola che, al tempo della visita era scrostata ed indecorosa.
D’altre parte, come pure già rilevò lo stesso Bellezza-Prinsi, è da notare che nel 1386 la chiesa è già ricordata come dedicata a S. Ferreolo, e, insieme alle chiese di S. Lorenzo di Grosso Canavese, di S. Stefano di Liramo e di S. Martino di Cirié, tra quelle che devono pagare il cattedratico alla Chiesa di Torino.S. Ferreolo è un santo del III secolo, che fu evangelizzatore della Franca Contea, martirizzato circa il 212, sotto Caracalla, ma al quale, in Piemonte, non vennero dedicate molte chiese o cappelle oltre a quella in Grosso Canavese. Si tratta di un nome che non ha diffusione neppure nella nostra antica onomastica, ciò che spiega perché esso non compare neppure nel Lexicon nominorum virorum et mulierum dell’Egger , ed è soltanto elencato nel Calendario agiografico con la sola indicazione della data della festività.
Ora va detto che il culto di S. Ferreolo è legato alle antiche strade ed in particolare per quella che porta da Lione a Besancon, sempre località dell’antica Burgundia. Né la nostra cappella, anche se oggi più non appare, è avulsa dalla questione viaria se si tiene conto della “tenace tradizione locale” di una strada “di origine romana in antico collegante Ivrea, ossia lo sbocco della Valle di Aosta e Avigliana alle porte della Valle Susina, le due valli al di là delle Alpi; strada romana secondaria e quasi prealpina svolgente a pie dei monti” che passava davanti alla chiesa del piccolo borgo di La Pie’ di Liramo e quindi anche nei pressi di S. Ferreolo.
Appena entrati osserviamo dapprima l’abside affrescata con un Cristo in mandorla, poi la parete di sinistra verso cui volgiamo: siamo al cospetto di affreschi del XV secolo che rappresentano l’allegoria dei Vizi e delle Virtù, un motivo non molto diffuso in Piemonte (esempi sporadici in Val di Susa e nel Cuneese) ma frequente in Provenza, a sottolineare ancora la vocazione francese della chiesetta.
Le figure si sviluppano in 2 ordini: a livello superiore dame incoronate e statuarie, con lunghe vesti e cilicio, divise da un colonnato ad archi gotici, rappresentano le 7 Virtù; a quello inferiore altre 7 donne e ognuna cavalca una bestia lungo un selciato, con un atteggiamento tipico del vizio che simboleggia; tutte hanno un cartiglio didascalico che indica la propria qualità.
Osserviamole ora con più attenzione partendo dall’angolo sinistro e passando tra i banchi impolverati.

Scudo a targa

Sulla parete della controfacciata vi è quello che rimane di un mostro diabolico: tra tentacoli e fauci spalancate aspetta l’arrivo del corteo dei Vizi. Alla parete laterale un diavolo nero suona la piva per accompagnare il sopraggiungere della processione viziosa. Il primo vizio è la Superbia: una donna triste con pettinatura elegante, munita di scettro dorato e scudo decorato con la scritta Superbia; 2 diavoli le porgono la corona; cavalca unleone di cui rimangono solo l’irta criniera, la folta coda e unazampa artigliata.

In alto si contrappone l’Umiltà (humiltas) dai lunghi capelli ondulati biondi, indossa una veste verde scuro, una grossa corona ed ha uno sguardo placido ma distaccato; in grembo tiene un agnellino.
Il secondo vizio è l’Avarizia (Avaricia): è scalza, stringe un sacchetto ed ha una chiave alla cintura; il viso è andato perso, ma s’intravede un diavoletto che forse le bendava il volto; tiene legata a sé con una catena l’animale, forse una scimmia (il muso è scrostato); da notare che è scalza o con una scarpa rotta, aspetto che enfatizza il suo vizio. Sopra si trova la Carità (caritas): ha un vistoso abito rosso e da una borsa elargisce monete d’oro (con stemma sabaudo) a due putti; tiene un bastone in mano, ha capelli lunghi poco ondulati, lo sguardo sobrio e diretto.

Tipico borsello portamonete femminile detto “Aumonier”

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Monete riportanti lo stemma della Casa Savoia. La raffigurazione farebbe pensare ad una riproduzione stilizzata del cosiddetto Bianchetto di Piemonte, moneta diffusa tra fine ‘300 ed inizio ‘400 nelle zone del Canavese.

Reperto di bianchetto di Piemonte

 

 

Il terzo vizio è l’Ira (Ira ira): indossa una veste rosso sanguigna ed ha la capigliatura sciolta da un diavolo che le tira i capelli, si trafigge la gola con un pugnale (estremo gesto della collera contro sé stessi), cavalca un orso(quasi del tutto scomparso), animale dall’aggressività improvvisa. In alto si trova quindi la Pazienza (paciencia): indossa un mantello ed un velo bianco , ha un atteggiamento di preghiera con lo sguardo dimesso, mentre un angelo le posa la corona in testa; sulle spalle si intravede una specie  giogo per portare fardelli.

Qui una lesena copre parte degli affreschi: la Lussuria è andata persa, probabilmente cavalcava una capra (rimane uno zoccolo); la Castità è quasi integra: ha lunghi capelli lisci, indossa una candida veste con sfumature azzurre tiene con la mano sinistra il giglio, simbolo di purezza (la parte destra è coperta); lo sguardo è timido e schivo, un leggero rossore colorisce le gote, gli occhi sono molto sottili.

Il quinto vizio è la Gola (Gula): indossa un ricercato abito verde, tiene un piatto con un uccello spennato, di cui afferra un cosciotto; ha un viso molto sereno e grazioso, i capelli sono raccolti sotto un velo, un diavoletto le siede sulla spalla e una catena le pende da un braccio; monta un lupo (la parte anteriore manca), animale famelico. Sopra c’é l’Astinenza (abstinencia): veste un abito rosso scuro con velo, sorregge con una mano un misero e frugale vassoio con verdura, frutta e una brocca; l’altra mano tiene sempre un ortaggio, forse una carota.

Penultimo vizio è l’Invidia (Invidia): ha una veste rosso chiara e tiene le braccia larghe; ha una faccia piena con espressione fissa e dimessa mentre un diavoletto le ride in faccia; cavalca una volpe fulva con la testa molto ben delineata. Le si contrappone la Temperanza (temperencia): l’abito verde chiaro è un po’ scrostato e poco definito; la dama dai lunghi capelli mossi, sta travasando dell’acqua da una brocca all’altra con estrema attenzione.

Infine la Pigrizia (Pigritia) a cavallo di un asino, contraddistinta da lunghi capelli rossi che si lascia oziosamente pettinare dalla mano di un diavoletto ormai in parte scrostato;
ad essa si contrappone la zelante Provvidenza (Provvidecia), il cui viso dispone di tre volti onniveggenti e di un compasso in mano, espressione del lavoro ed elemento simbolico associabile alla “Libera Arte Muratoria”, con probabile riferimento esoterico ai primi creatori del Tempio di Salomone.

Autore Mandimartel

Photo Jessica Perchinelli

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